La dominazione dei Principi De Capua
Nel 1283 Carlo II D’Angiò, allora principe di Salerno, fu lasciato come Vicario del Regno dal padre, il quale s'era recato a Bordeaux per battersi in duello con Pietro d'Aragona. Nel mese di giugno dello stesso anno Ruggiero di Lorin, con quarantacinque galee, diede nel golfo di Napoli grave battaglia alla flotta angioina, comandata dall'ammiraglio francese Giacomo Brusone. Avutane vittoria, fece prigioniero lo stesso Principe ereditario, Carlo, che fu inviato in Aragona.Dopo lunghe trattative e per la stessa intercessione di Papa Onorio IV e di Edoardo re d' Inghilterra, nel novembre del 1288, il Principe potè essere liberato, a condizione che consegnasse in ostaggio al re Alfonso d’Aragona settanta cavalieri ed i suoi figli; pagasse trentamila marche d'argento, procurasse d'indurre il Re di Francia ad una tregua di tre anni e Carlo di Valois, fratello del Re, a cedere ad Alfonso lo terre occupategli dal padre.Da un lato queste non furono tutte mantenute da Carlo, dall'altro il Re di Francia e il Valois preparavano la guerra contro Alfonso, onde il Re d' Inghilterra premurava l'Angioino Carlo a mantenere la data parola. Carlo, lasciato come Vicario del Regno il suo primogenito Carlo Martello, partì per la Francia, conducendo con sé Bartolomeo di Capua,conte di Altavilla. In Montpellier si riunirono per concludere la pace e per definire la questione gli Ambasciatori d' Inghilterra, d'Aragona, del re Carlo, del re di Maiorica, del re Giacomo di Sicilia, del re di Francia e due Legati del Papa, il cardinal Gaetani e il vescovo di Santa Sabina. La discussione fu aspra e il dibattito minacciava di non approdare a nulla, perchè i Legati apostolici volevano che il Regno di Sicilia restasse a Carlo II, gli Ambasciatori di Francia affermavano che il loro Re non poteva perdere la spesa già fatta per apparecchiare la guerra contro l'Aragonese e Carlo di Valois non voleva cedere le sue ragioni. Sorse allora Bartolomeo de Capua e,con sottile accorgimento, convinse i Legati del Pontefice ad escludere dal trattato di pace re Giacomo, ed a proporre a Carlo di Valois, in cambio della speranza che aveva di acquistare i Regni d'Aragona e Valenza, le nozze con Clemenza, figlia di Carlo II, che gli avrebbe portato in dote il Ducato d'Angiò. Questi suggerimenti del de Capua ebbero l'effetto desiderato, poichè la pace fu conclusa. Così Carlo II potè liberare i figli dati in ostaggio,scioglierlo da tutti gli obblighi assunti e tornare in Napoli a governare il suo Regno.Morto Carlo II D’Angiò il 5 maggio 1309, sorse la contesa per la successione del Reame tra il giovinetto Caroberto, figlio di Carlo Martello,re d ' Ungheria e nipote quindi del defunto Re, e Roberto, duca di Calabria, figlio di Carlo. Portata la controversia innanzi al Collegio dei Cardinali in Avignone, Bartolomeo de Capua sostenne energicamente e con gran valentia le ragioni di Roberto, dimostrando che il trono di Napoli spettava a quest' ultimo, non solo perchè nella qualita di figlio era più prossimo in grado al morto, ma più specialmente per l' utilità pubblica dell'Italia e del nome cristiano, essendo Roberto espertissimo in pace e in guerra e reputato il Salomone della sua età. Al contrario, Caroberto era giovane, nato e cresciuto in Ungheria, ignaro dei costumi d' Italia e degli affari di Stato, e che, sotto l' influenza di Ministri e Baroni ungheresi, avrebbe indubbiamente urtate tante gelosie, sconvolti molti interessi e quindi messo il Reame in uno stato di ribellione. Ricordò pure che il defunto re Carlo, con un editto spedito ai Giustizieri del Regno nel febbraio 1296, li incaricava di invitare i Sindaci ad inviare una petizione al Papa ed al Collegio dei Cardinali per la successione del figlio Roberto. La gratitudine di re Roberto fu quindi immensa per Bartolomeo, perciò non solo seguitò a mantenerlo nell'alta carica, affidandogli le più difficili e delicate cure di governo, non solo gli confermò tutte le Signorie concessegli da Carlo I e II ma lo tenne carissimo e per dimostrargli sempre più il suo affetto, gli elevò a Principati i feudi di Molfetta, Conca e Riccia posseduti fra gli altri dal suo Protonotario. Infatti, questi tenne Vairano, Presenzano, Albiniano, Trentola, Loriano, Salcone e la Baronia di Giovanni figlio di Raone; e, come risulta da scritture del 1285 e 1293 fu pure possessore di Casella, Arnone, Antimo, Molinara, Roseto, Conca, Altavilla, Morrone e Riccillo. Fu, dunque, sotto Carlo I d'Angiò che Riccia fu concessa ai de Capua ed il primo Signore ne fu il Bartolomeo,Gran Protonotario. Noi non possiamo affermare con certezza se Bartolomeo avesse visitato la nostra Terra ma certo egli si occupò con interesse delle faccende di essa. E fu egli appunto che agli inizi di marzo 1286 fece assegnare Riccia nel Giustizierato di Terra di Lavoro e Contado di Molise, togliendola a quello di Capitanata, a cui era appartenuta. Bartolomeo fu stato spinto ad impetrare dal Re tale favore, perchè, essendo Riccia un suo feudo, gli tornava più comodo tale passaggio.Fece costruire l’ottava torre centrale,tuttora superstite e la zecca,poichè i feudatari avevano anche il privilegio della zecca, ne é ancora testimonianza la casa della zecca, un fabbricato di bello stile, conservato in buone condizioni.Sotto Bartolomeo di Capua i rapporti con il napoletano divennero piú stretti. Si ritrovano tuttora costruzioni di Bartolomeo di Capua come il Palazzo Marigliano a Napoli che venne eretto nel 1513 dall'architetto Giovanni Donadio (detto il Mormando), quale dimora di Bartolomeo di Capua, Principe di Riccia e Conte di Altavilla (il palazzo è sede oggi della Soprintendenza Archivistica della Campania). Bartolomeo ebbe due mogli Mattia di Franco e Margherita di Loria, figlia del grande Ammiraglio Ruggiero, il quale per opera del de Capua, era passato ai servigi di Carlo. Dalla prima moglie ebbe Andrea, Taddeo, Iacopo, Giovanni ed Andrea, arcivescovo di Capua. Il primo figlio che premorì al padre, sposò una certa Bianca, e la sua linea di parentela si estinse con la pronipote Angiolella, Contessa di Satriano. Di Taddeo nulla ci hanno conservato gli storici o nulla fece per rendersi degno di considerazione. Iacopo fu col padre Protonotario, ma pure gli premorì,dopo aver procreato con Roberta Gesualdo un solo figlio di nome Bartolomeo. Giovanni sposò Iacopa da Caiano e ne ebbe due figli,Roberto e Tommaso. Questo Roberto fu sommamente amato dall'avo, perchè da lui cresciuto ed educato , per l’ autorità avuta dal Re di poter distribuire i suoi beni feudali ai nipoti ed ai figlioli a suo piacimento, lasciò allo stesso direttamente la Contea di Altavilla e il Principato di Riccia. Carico di gloria e di ricchezze morì nell'anno 1328 e fu con solenne pompa sepolto nel Duomo di Napoli, nella sua Cappella posta all' uscita del Coro a destra, in un sepolcro marmoreo. Fu di grande e nobile animo ed avanzò tutti gli uomini del suo tempo nella magnificenza del fabbricare. Rifece la porta di S. Lorenzo, riedificò la facciata di S. Domenico,costruì una casa vicino al Monastero di Montevergine,costrui un' altra Chiesa in Napoli e la diede ai Carmelitani e lasciò buone somme di denaro destinate alla riparazione di vari ponti.La bramosia che il Gran Protonotario nutriva per le costruzioni, e che lo fece paragonare dall'Ammirato agli antichi Romani, ci induce a credere che non avesse dimenticato il nostro paese e che quindi per mezzo del suo nipote Roberto, avesse fatto restaurare il tempietto della Madonna delle Grazie, e probabilmente anche il castello in prossimità di detta Chiesa. Roberto de Capua Principe di Riccia e Signore dell' intero stato avito,continuò a servire fedelmente re Roberto, tanto che questi gli riconfermò tutti i privilegi e i domini. Morto il 16 gennaio 1343 ed essendogli premorto il 10 novembre 1328 Carlo duca di Calabria, unico figlio, salì al trono la primogenita di costui Giovanna a cui l'avo, con testamento fatto nel giorno stesso della sua morte, lasciò l’universale eredità dei suoi Stati di Provenza e del Regno di Napoli. Il Principe di Riccia giurò devozione alla Regina e costantemente perseverò in tale fedeltà. Anzi fu così favorito e bene accetto alla sua Sovrana che questa, con privilegio del 12 marzo 1349, lodandone grandemente la fede e il valore, gli concesse il mero e misto imperio su tutte le terre e i luoghi da lui posseduti. Ma tale preziosa concessione non ebbe per allora nessuna attuazione di fatto a causa delle continue perturbazioni politiche del tempo. Roberto ebbe quattro figli che furono Bartolomeo, Guglielmo,arcivescovo di Salerno, Ludovico Cardinale e Antonio.Tale famiglia si sostenne a lungo,a differenza di tante altre piu potenti, più nobili e più antiche e quindi accrescere i suoi dominii, la sua opulenza e l' arroganza sopra i poveri vassalli, perché i de Capua erano opportunisti per eccellenza e si schieravano nella fazione dei più forti ed erano sempre fra i primi a passare alla parte opposta, a giurare fedeltà al nuovo e più fortunato Signore e ad ottenere facili perdoni o nuove concessioni. Ed infatti, lo stesso Roberto, tanto fedele a Giovanna, sorrise alle armi trionfatrici di Carlo III di Durazzo,tanto che questi gli conferi l' incarico di radunare e portare alla Sua presenza tutti i feudatari del Contado del Molise. Sotto il Principato di Roberto Riccia venne funestata da una terribile banda di malandrini detti la Banda della Rosa Rossa e capitanati dal Caporale Mariotta. Nel 1372 il nostro paese ne rimase miseramente saccheggiato, in una delle tante scorrerie che detta Banda facevano per la Puglia,per la Capitanata, per il Contado di Molise, per la valle Beneventana e per la Terra di Lavoro. Caporale Mariotta era protetto da Nicola di Francavilla, Conte di Sant'Angelo però nel 1373 fu preso e fatto impiccare dalla Regina Giovanna, la quale ebbe il merito di purgare il Reame dai numerosi malandrini che lo infestavano. Morto Roberto, gli successe il primogenito Bartolomeo.Costui, dopo la violenta morte della Regina Giovanna il 1 maggio 1382, non curando la segnalata vittoria di Carlo di Durazzo e la investitura del Reame avuta da Urbano VI,volle insieme ai Conti di Caserta, d'Ariano e di Fondi, mantenersi fedele all' ultima volontà della Regina che con Bolla del 30 maggio 1381, aveva fatto dall'Antipapa Clemente VII riconoscere come suo erede Luigi I d'Angio, fratello di Carlo V re di Francia; e perciò tenne per quest’ultimo.Questa fedeltà,unica forse nella storia dei de Capua,gli costò la perdita dello Stato con decreto dell’ottobre 1382 che re Carlo gli tolse per donarlo al figlio Luigi,che comunque intercesse presso re Carlo per far ottenere al padre Bartolomeo buone convenzioni ed il recupero dello Stato e del titolo.Tuttavia il 17 Giugno 1383 Bartolomeo si ribellò a Carlo e nell’agosto 1384,insieme al Conte di Caserta si spinse in un assalto verso Napoli.Non è da tacere che il 26 agosto 1383 Luigi D’Angiò partì da Ariano per andare in Puglia ma dovette retrocedere per l’assalto dei Durazziani e risalita la valle Beneventana passò per Riccia dove fu accolto con tutti gli onori da Bartolomeo.Morto però in Bisceglie Luigi d'Angiò il 20 settembre 1384,re Carlo,libero del nemico, con decreto del 1 ottobre,punì il ribelle Bartolomeo, col ritogliergli lo Stato, ridonandolo una seconda volta al figlio Luigi. Ma questi, finchè il padre visse, non prese nè lo Stato nè il titolo, non si sa se per modestia o per riverenza. Morto anche Carlo di Durazzo il 6 febbraio 1386 e rifugiatasi la vedova Margherita coi due figli Ladislao e Giovanna nella fortezza di Gaeta, innanzi alle armi che Luigi II d'Angiò, figlio del precedente, aveva portate nel Reame per ricuperare i pretesi diritti alla corona, Bartolomeo parteggiò per i Durazzo, e recuperò di nuovo lo Stato.Bartolomeo morì nel 1395.Ebbe due mogli e la seconda fu Andreina Acciaiuoli di nobile famiglia fiorentina, quella a cui Giovanni Boccaccio intitolò il libro “Delle Femmine illustri”, che fu sorella di Nicola Gran Siniscalco, e che era vedova di Carlo d'Artus,Conte di Mondrisio.Bartolomeo ebbe un figlio naturale di nome Iacopello e quattro figli legittimi Lucrezia,Fabrizio che sposò Iacovella Gesualdo, capostipite dei Conti di Palena e padre del celebre capitano Matteo, morto guerreggiando contro i Turchi nel 1480, Luigi Principe di Riccia e Giulio Cesare, maresciallo del Regno,che sposò Pippa d'Aquino.Luigi,era ritenuto uno degli uomini più valorosi della sua età sia per vigoria naturale che per suprema perizia nell’arte militare.Risultò vittorioso in quattro duelli, e per la fama delle sue virtù guerresche, fu nominato Capitano generale delle milizie fiorentine. Accompagnò nel 1390 il Vicerè Cecco del Borgo in Sicilia per condurre Costanza di Chiaromonte sposa a Ladislao di Durazzo e servì così fedelmente e valorosamente questo Re che fu educato a Corte insieme al figlio del Re Andrea. E poi, pure a riconoscimento della sua fedeltà e prontezza, lo stesso Ladislao gli donò duecento once di entrata annua per sè e per gli eredi sopra qualunque bene che ricadesse nella corte reale.Luigi fu fiero di tante riconoscenze che sacrificò la sua vita per i Durazzo. Trovandosi Capua sommessa alla Casa di Marzano, fu da Luigi cinta d'assedio, espugnata e ridotta alla devozione del Re ma a causa di un colpo di balestra fu ucciso nell’assedio nel 1397. Lasciò due figli, Andrea che gli successe negli Stati ed Ercole a cui Andrea concesse nel 1415 la Signoria di Pago in Principato Ultra. Il cadavere di Luigi fu trasportato in Riccia e vi fu sepolto. Ed il suo pronipote Bartolomeo III ne fece tumulare la spoglia nella Cappella principesca e propriamente a destra dell' altar maggiore.
Re Ladislao di Durazzo e Costanza di Chiaromonte
Ladislao,nato il 13 gennaio 1376,aveva dieci anni quando fu nominato Re di Napoli il 25 febbraio 1386.Il giovane Re e la madre Margherita,poiché non riuscivano a sconfiggere le fazioni di Luigi II D’Angiò,abbandonarono Castel dell’Ovo a Napoli e si rifugiarono a Gaeta,dove vissero tredici anni insieme a pochi Baroni fedeli tra cui Andrea de Capua,Principe di Riccia. Re Ladislao ebbe carissimo il giovane Andrea, un po' per riflesso delle benemerenze paterne verso la monarchia, un po' per essergli coetaneo ed averlo avuto compagno nei diletti di Corte. Intanto Napoli cadde in balia degli Angioini sebbene l'Antipapa Clemente inviava da Avignone ingenti somme di denaro per aiutarli.In tali condizioni deplorevoli, la Regina Margherita capiva purtroppo che suo figlio avrebbe perduto irrimediabilmente il trono, se non avesse trovato il denaro neccssario per assoldare un folto esercito da opporre all'armata angioina. E mentre viveva in tale dolorosa perplessità,il caso le portò la buona idea. Alcuni mercanti di Gaeta, che erano stati in quell'anno 1389 a comprare grano in Sicilia, riferirono alla Regina grandi cose di Manfredi di Chiaromonte e della bellezza di sua figlia Costanza. Fra l'altro le ricordarono come Ladislao e la Chiaromonte fossero entrambi di stirpe capetingia. Infatti Ladislao discendeva dal ramo primogenito di Ludovico VI re di Francia, e la figlia di Manfredi da Pietro Moncler, secondogenito dcllo stesso Re.Pietro si chiamava Arrigo ma avuti dissapori nella Corte di Francia si trasferì a Napoli sotto la protezione di Carlo II D’Angiò,suo cugino,insieme al figlio Simone ma dopo dissapori anche con Carlo passò al servizio degli Aragonesi in Sicilia e qui,visto che qualsiasi cosa francese era malvista,padre e figlio cambiarono il cognome francese di Moncler in Chiaromonte.Dal figlio Simone nacque Federico che ebbe come figlio Manfredi,padre di Costanza.Margherita rimase vivamente impressionata da questa notizia e pensò di far sposare la giovinetta al figlio Ladislao,allora quattordicenne.Riunito il Consiglio ed esposto il suo piano ebbe piena approvazione percè tutti compresero che solo così si potevano avere i fondi per la prossima guerra.Furono nominati il Conte di Celano,ricco e splendido ed il Conte di Gaeta,uomo dotto e di legge,per andare in Sicilia a trattare il matrimonio.Era Manfredi di Chiaromonte di titolo Conte di Modica, ma in effetto sovrano di una gran parte della Sicilia, perchè per la puerizia del Re e per la discordia di Baroni, aveva occupato Palermo e quasi tutte le altre cospicue Terre dell'Isola considerandosene Re assoluto.Essendo di natura splendido e magnanimo,con grandissimo fasto e cortesia accolse gli Ambasciatori.E poi conoscendo le virtù della Regina Margherita e con la certezza di poter fornire notevole aiuto per cacciare i nemici dal Regno, quando seppe il motivo della visita ne fu lieto ed acconsentì subito anche perché gli veniva offerta l’occasione di fare di sua figlia una Regina e di poter sperare,con l’aiuto del futuro genero,la conquista di tutta la Sicilia.I Conti di Celano e di Gaeta tornarono a Gaeta contentissimi e riferirono la risposta alla Regina che la comunicò a tutti i Baroni e fu proclamata festa per vari giorni.Poco dopo fece ritorno a Palermo Cecco del Borgo, Vicere del Re Ladislao di Durazzo, accompagnato da Luigi de Capua, Principe di Riccia,dal Conte d'Alife e da molti Baroni e Cavalieri. Manfredi, dopo averli tutti mirabilmente accolti, onorati e mantenuti per vari giorni in festeggiamenti e banchetti, consegnò al Vicere la figlia Costanza, ed in compagnia di lei mandò quattro galee che, oltre la vistosissima dote, portavano gran copia di argento lavorato, di gioielli e di tapezzerie. Lasciato il porto di Palermo, il Corteo nuziale giunse a Gaeta il 5 settembre del medesimo anno 1389. La regina Margherita, non volendo farsi vincere da Manfredi in magnificenza e splendore, fece trovare preparativi colossali. Convocò tutti i Baroni suoi partigiani, i quali vennero con gran lusso di abiti, di armi e di gioielli insieme alle loro mogli. All'apparire delle galee, Ladislao, con la sorella Giovanna, scese al porto, circondato da un gran numero di belle e nobili dame,prese subito posto in una barca coperta di drappo d'oro, insiemo al figlio del Principe di Riccia Andrea, al Duca di Sessa, ai Conti di Campobasso e di Loreto, e andò ad incontrare la fidanzata Costanza. Discesi a terra, gli sposi furono accompagnati con straordinario tripudio al Castello, dove Margherita accolse la nuora con molte espansioni di gioia. E i festeggiamenti durarono molti giorni.Non appena terminarono le feste,esattamente il 18 ottobre, morì in Roma Papa Urbano e il 2 novembre fu eletto il Cardinale Pietro Tomacello napoletano, gran protettore di Ladislao, prendendo il nome di Bonifacio I. L'11 maggio il Papa Bonifacio I inviò a Gaeta il Cardinale Angelo Acciaiuoli di Firenze che unì in nozze Ladislao e Costanza e che solcnnemente furono incoronati nel Duomo della Città.
Saputo che Ladislao si era sposato ed aveva avuto in dote molto denaro,Luigi II D’Angiò ritornò a Napoli ed ebbe il giuramento di fedeltà da tutti gli Ordini della Città e del Regno.Intanto Margherita fece chiamare a Gaeta tutti i Baroni e con la ricca dote portata da Costanza fece decidere al Consiglio di dichiarare guerra.
Con tale intesa Cecco del Borgo andò a Benevento per avere l’appoggio di Alberico duca di Montecorvino e di Venosa; poi a Riccia e poi a S. Bartolomeo in Galdo dal Principe Ottone. Cecco del Borgo riuscì nel suo intento e si riunì la Capitanata col grosso dell'esercito comandato da Alberico e da Ottone. Ma i Sanseverini non aspettarono di essere battuti all spicciolata e sotto la direzione di Tommaso celermente si riunirono e diedero battaglia ai Durazziani presso Ascoli Satriano dove ottennero una splendida vittoria, facendo prigionieri tutti i Capitani. Grave dispendio di danaro costò a Ladislao il riscatto di tutti costoro che gli rimase l’esercito ma a costo di quasi tutta la dote della moglie.A seguito di tale sconfitta anche Castel Sant’Elmo e Castenuovo,devoti ai Durazzo,capitolarono con Luigi II D’Angiò e Margherita vide svanire l’ambito sogno di riconquistare il Regno.Intanto anche in Sicilia precipitarono gli eventi ai danni della famiglia Chiaromonte; quindi Margherita non poteva sperare in altri aiuti di Manfredi.Quando, per cessione diretta della regina Giovanna, Federico d’Aragona ottenne il regno di Sicilia sentendosi malato e prossimo a morire fece nel 1377 testamento, con cui designò a sua erede l' unica sua figlioletta Maria, lasciandole a tutore il Conte Artale d'Aragona ed a governatori i Vicarii Nicolo Peralta:Conte di Caltabellotta, Antonio Ventimiglia:Conte di Golosano e Manfredi di Chiaromonte: Conte di Modica. A tali nomine aggiunse anche la clausola che, morendo uno di loro sarebbe subentrato nella tutela il primogenito del morto. Inoltre,con nota del papa Urbano VI nel maggio del 1389 fu emessa la comminatoria in virtù della quale i tutori avrebbero eprso i feudi se la Reginetta Maria fosse stata rapita.Tale sospetto del Papa ra ben fondato perché poco dopo Guglielmo Moncada la rapì portandola prima nel Castello Ursino di Catania,poi in quello di Augusta ed infine in quello di Leocata con l’intento di darla in sposa al piccolo Martino,figlio dell’infante Duca di Monblanch che poi divenne Re d’Aragona.Manfredi Chiaromonte radunò un piccolo esercito e partì verso Leocata per liberarla e lo costrinse all’assedio ma il rapitore riuscì a fuggire via mare portando la Reginetta Maria con una flotta aragonese prima in Sardegna e poi a Barcellona dove andò in sposa al giovane Martino.Nel 1391 morì Manfredi, subentrando nei feudi di sua Casa e nel Governo del Regno il Conte Andrea suo figlio. Andrea ed i Governatori convocarono un Parlamento dove fu conclusa una lega con il Papa e con il Re Ladislao affinché i Siciliani potessero rivendicare la propria sovrana Maria ma non lo sposo Martino poiché il suo matrimonio era nullo avendola rapita.Martino,saputo ciò tornò in Sicilia e,sottomessosi alla benevolenza del Papa Bonifacio,fece spodestare i Governatori,poi li fece arrestare e decapitare. Andrea di Chiaromonte fu decapitato in pubblica piazza il 1° Giugno 1392.Filippo Chiaromonte,fratello di Andrea e di Costanza,appresa la triste notizia fu colpito da malore e cadde in mare da cavallo.La catastrofe della famiglia Chiaromonte giunse alla Regina Margherita che invece di consolare la sventurata nuora iniziò a considerarla un peso perché la dote era finita,aiuto dalla sua famiglia per la guerra non poteva più averlo e poi inoltre si aggiunse l’infamia che la cognata,moglie del fratello Andrea era stata sedotta da Martino di Monblanch.Allora Margherita iniziò ad insinuare nell’animo del figlio Ladislao che non fosse più conveniente avere in moglie Costanza,cognata della concubina del re catalano Martino ed unica superstite di una famiglia che non le avrebbe dato una seconda dote per fronteggiare la guerra.Ladislao,data la giovane età era più incline all’obbedienza verso la madre che all’amore per la moglie e nel maggio 1392 partì da Gaeta con quattro galee e giunse a Roma dove pregò Papa Bonifacio IX di concedergli in divorzio.Il Papa non poteva concedergli il divorzio ma emise una bolla di ripudio con la scusa che il matrimonio non era stato consumato perché Costanza era stata portata a Ladislao con un semplice trattato di fede regia e per l’età minore degli sposi e diede inoltre a Ladislao un’ingente somma di denaro per continuare la guerra.Costanza così in giovane età si trovò orfana,senza dote,tragicamente colpita dalla morte dei suoi fratelli ed infine ripudiata.
Costanza però non si disperò e sebbene cacciata da corte, iniziò a lavorare ed a vendere,insieme alla nutrice ed alle sue due ancelle,il ricavato per i successivi tre anni.Questa vita esemplare e virtuosa le conquistarono le simpatie della cittadinanza.Ovunque si magnificavano i suoi pregi di fanciulla che,sebbene sventurata,attingeva alla stessa sventura la forza per sostenersi integra e dignitosa.Tale plauso arrivò ben presto anche a corte da Margherita e Ladislao e quest’ultimo,mosso da pietà e da rimorso e dopo aver finalmente rialzate le sorti della sua pericolante corona grazie all’aiuto economico del Papa,pensò di darle una posizione onorevole.
Andrea de Capua e Costanza di Chiaromonte
Saputo che il suo amico e coetaneo Andrea de Capua,primogenito del Principe di Riccia,era rimasto affascinato dalla bellezza e dall’onestà di Costanza Ladislao deliberò di dargliela in moglie,assecondando così il desiderio di Andrea.Le nozze furono celebrate con pompa magna nel Duomo di Gaeta il 16 Dicembre 1392 e Ladislao dimostrò la sua gratitudine all’amico Andrea dandogli una dote di trentamila ducati.Dopo il matrimonio Andrea condusse a Capua Costanza per rendere omaggio al padre che il 15 Aprile 1397 assegnò ad Andrea anche il feudo di Riccia tra i suoi averi. Dopo un soggiorno ad Altavilla, Costanza ed Andrea si trasferirono a Riccia. La regina Costanza di Chiaromonte ed il principe Andrea de Capua vennero ad abitare nel Castello di Riccia nel maggio 1397 e furono accolti dai nobili del luogo,tra cui le notabili famiglie Sedati e Moffa che li condussero nelle regie dimore e qui iniziarono settimane di festeggiamenti.Costanza aveva allora diciassette anni ed è descritta dagli storici del tempo molto bella e leggiadra.Intanto il re Martino promulgò in Sicilia nel Parlamento di Siracusa una petizione del Papa col quale venivano reintegrati nei feudi i nobili sciliani dichiarati ribelli e Costanza avanzò il reclamo dei territori spettanti al padre ma non ebbe fortuna perché era stata moglie e poi vassalla di Re Ladislao,nemico degli Aragonesi per cui le fu negato anche il sontuoso palazzo di Palermo.Dopo questo ulteriore dispiacere Costanza si rinchiuse tra le pareti del Castello di Riccia e visse buona e virtuosa. Il matrimonio fu fecondo e lieto di due figli: Luigi e Maria, la quale nel 1422 sposò il Conte di Popoli Francesco Cantelmo, e pochi anni appresso - in seconde nozze - Baldassarre della Ratta Conte di Caserta. Quando nel 1409 il suo consorte Andrea successe nel governo della Terra d'Otranto a Bartolomeo della Ratta, Conte di Caserta, essa rimase con la figlioletta Maria, e tutta dedicata alla sua educazione, parve che in lei rifiorisse il sorriso della sua gioconda adolescenza. E la visione della sua lontana Sicilia, dei suoi tramonti infuocati e dei suoi fiori olezzanti; la visione gentile della famiglia, del suo fasto e delle sue ricchezze spesso tornava a rifiorirle sullo spirito dolente. E le sembrava che non tutto il poema di queste gioie perdute, di questi affetti violati, di questa lirica derisa fosse stato distrutto dalla Bolla di Bonifacio IX e dalla nequizia di Martino di Monblanc.Fu poi immensamente buona con i suoi vassalli riccesi, e finchè visse ne lenì le sventure, ne soccorse i miseri, ne confortò gli afflitti; e non permise che fossero colpiti dai soliti abusi feudali del tempo. Essa aveva troppo sofferto lo strazio di malvage ingiustizie e d' ignobili soverchierie, sapeva troppo bene le raffinate torture del dolore, per permettere che le prime si commettessero e si soffrisse il secondo.
Quando nel febbraio del 1403 apprese la notizie del matrimonio di Ladislao con Maria, sorella di Gimo,re di Cipro e nel 1406 la notizia delle altre nozze contratte dallo stesso Ladislao con la Principessa di Taranto, non imprecò, non pianse. Il suo destino era stato definitivamente segnato, e subì questi ultimi strappi al suo cuore con la fermezza che le era stata compagna in contingenze assai più tristi. La morte di Ladislao, avvenuta il 6 agosto 1414, le rimescolò nell'anima tutte le lotte e i fantasmi paurosi del passato; ma ebbe solo parole di preghiera e di perdono. All' uomo che le aveva lanciato il supremo oltraggio e che era morto a soli trentanove anni. Assunta al trono Giovanna II e risposata il 10 agosto 1415 al Conte Giacomo della Marca dei Reali di Francia, il Principe di Riccia Andrea ebbe nuova conferma del suo Stato; anzi i Reali vi aggiunsero Leonessa, in Abruzzo, Signoria impegnata dal Re defunto per trentamila ducati di dote concessi alla consorte Chiaromonte, e seguitarono a tenere carissimo il de Capua nonostante la congiura di palazzo ordita dallo zio paterno Giulio Cesare.
Costui, fratello di Luigi e Maresciallo del Regno, mal sopportando che il Conte Pandolfello tenesse ambo le chiavi del cuore della Regina, denunciò a Giacomo tutte le disonestà della moglie, onde i favoriti furono espulsi dalla Corte e Pandolfello fu impiccato. Però Giulio Cesare, non essendo stato contentato dal Re nei suoi sogni ambiziosi e volendo rendere alla Regina la libertà di una volta, tornò a Napoli dalla sua Terra di Morrone, e ricevuto in udienza da Giovanna, le confidò che aveva in animo di ucciderle il marito, per liberarla dalla servitù prcsente. La Regina, atrocemente offesa da Giulio Cesare che ne aveva svelate le tresche al Re, per raddolcire questo a suo riguardo e vendicarsi del de Capua, finse di accettare con gioia il truce progetto, ma lo svelò poi al marito.
Tornato il de Capua a Corte, il Re, nascosto dietro una tenda, sentì da lui stesso il modo ideato per assassinarlo, onde uscito nel cortile, mentre metteva il piede nella staffa, Giulio Cesare fu arrestato insieme ad un suo segretario e condotti a Castel Capuano, condannati di fellonia e di delitto di lesa maestà, furono impiccati.
Nel medesimo anno della riconferma dello Stato 1415, Andrea comprò da Giorgio Gritti, nobile veneziano che dimorava a Napoli, la terra di Sepino.Andrea morì nel 1420 a soli quarant’anni e due anni dopo,esattamente nel 1422 Maria ,figlia di Costanza ed Andrea fu data in sposa a Francesco Cantelmo,Conte di Popoli e,pochi anni dopo rimasta vedova,si risposò con Baldassarre della Ritta,Conte di Caserta portando in dote seimilatrecento ducati.
Costanza,rimasta vedova, con la figlia lontana e col figlio Luigi ancora bambino, essendo nato nel 1418, non seppe sostenere più a lungo i colpi orribili del destino e con l’angoscia rinnovata della sua sventura lentamente si spense un paio d' anni dopo la morte di Andrea. In Riccia la scomparsa di una nobile e gentile signora afflosciò l'animo di tutti. La loro fata benefica e confortatrice, ancor giovane e bella, era morta e sul suo feretro piovvero le benedizioni e le lacrime dei vassalli, quasi a presentimento del triste avvenire che li aspettava dalla prepotenza dei successori di Andrea.Andrea e Costanza furono sepolti a Riccia nella cappella gentilizia reale del Beato Stefano.
Luigi de Capua
Alla morte prematura dei genitori rimase Luigi,ancora bambino,Signore del vasto retaggio di famiglia e ne ebbe investitura dalla Regina Giovanna di tutti i privilegi.La Regina Giovanna,con le sue effimere adozioni,aveva scatenato nel regno sanguinose fazioni fra gli Angioini e gli Aragonesi che si contendevano il trono militando per gli Angioini prima Attendolo Sforza e poi Giacomo Caldora mentre per gli aragonesi militava Braccio da Montone.Caldora era fedele,insieme a Luigi de Capua,della Regina Giovanna di Durazzo.Caldora voleva riportare Colle Sannita,feudo di Casa Leonessa,devota del Re Alfonso d’Aragona,alla Regina Giovanna e cinse l’assedio sotto le mura collesi ma fu ucciso da alcuni cittadini collesi che lo sentirono parlare insieme a Luigi de Capua,Principe di Riccia e dal Conte Cola Ofieri su come ingannare ed uccidere a Napoli il re aragonese.La morte di Caldora precipitò le sorti del Principato di Riccia che passò agli Aragonesi con l’indulto del 16 febbraio 1441,dato a Benevento da re Alfonso d’Aragona,che perdonò Luigi de Capua e gli permise di riottenere l’investitura di tutti i suoi possedimenti con diploma dato in Francia,dove nel frattempo Luigi si era rifugiato,il27 marzo 1442.Tornato pochi anni dopo nel Castello di Riccia sposò Altabella Pandone,figlia di Francesco conte di Venafro e sorella di Galeazzo,che aveva portato in dote trentamila ducati(su richiesta di Luigi al conte Pandone si notano similitudini tra i torrioni smerigliati delle torri riccesi con quelle del castello di Venafro nonché con il ponte di cinta).Ebbero cinque maschi:Andrea,Francesco,Iacopo,Fabrizio,Giulio e una femmina Costanza,che nel 1454 andò in sposa a Sansone Gesualdo,conte di Consa sebbene in gioventù si era invaghita del Cavaliere Ercole d’Este,che viveva presso la corte di Napoli.Intanto Costanza ed Ercole si incontravano di notte nella camera della principessa ed una cameriera riferì alla principessa Altabella le avventure amorose notturne della figlia Costanza e questa,per evitare dicerie,la licenziò sostituendola con una donna più fidata.La cameriera licenziata andò a lamentare da Galeazzo Pandone,cavaliere di corte e fratello di Altabella,che provò a farla riprendere invano a corte dalla sorella ed alla fine,data la leggiadria e la bellezza della cameriera, la tenne presso le sue stanze come amante.Siccome Galeazzo era benvoluto alla corte del Re Ferdinando la cameriera non si accontentava di essergli amante e pretendeva di diventare sua sposa ed allora fece in modo che a corte sapessero della sua relazione amorosa.Il Re saputo ciò consigliò Galeazzo di maritarsi con una donna del suo rango e la scelta cadde sulla nipote Costanza con l’approvazione di Altabella ma non di Costanza,che trovò ripugnante l’idea di sposarsi con lo zio e di dover rinunciare poi agli incontri notturni ed amorosi con Ercole e per il dolore cadde ammalata rischiando di morire.Poichè tutto il Principato di Riccia ed anche la corte di Napoli favorivano questo matrimonio la madre Altabella si fece aiutare dalla cognata Maria,sorella di Luigi e contessa di Caserta a convincere Costanza ad accettare le nozze.Ercole,vista l’insistenza della madre e della zia e temendo che Costanza cedesse,accecato dalla gelosia sfidò a duello Galeazzo e fu ferito morendo poi tra le braccia dell’amata Costanza.Il suo corpo fu tumulato nella cappella gentilizia reale accanto al Principe Andrea ed alla Regina Costanza.Costanza fu mandata per qualche anno in monastero per evitare ulteriori pettegolezzi e ne uscì solo quando andò in sposa nel 1454 a Sansone Gesualdo,conte di Consa col quale visse poi tranquillamente.Il primogenito Andrea de Capua,succedette al padre Luigi in tenera età e perciò re Alfonso fu costretto a nominare tutrici la madre Altabella e Maria, contessa di Caserta, zia di Andrea e degli altri minori. Il diploma di tutela e di investitura fu emanato il 26 settembre 1444.Andrea de Capua fu il settimo Signore della nostra Terra, non ebbe moglie e non lasciò successione diretta. Nulla si sa di lui, e perciò é da ritenere che fosse morto giovane, anche perchè Francesco, suo secondo fratello,gli succedette nei titoli e negli Stati, dopo la morte di re Alfonso avvenuta il 27 giugllo 1458,ed ebbe ratificata dal re Ferdinando I,la successione con privilegio reale del 31 luglio 1459.Francesco era benvoluto dal re Ferdinando I che lo scelse come scorta alla figlia Beatrice quando la dovette accompagnare a sposare Mattia Corvino,re d’Ungheria.Francesco sposò Elisabetta de Conte, appartenente ad una illustre famiglia romana e con essa generò dodici figli,di cui cinque femmine. I maschi furono Luigi, Bartolomeo Andrea, Giovanni, Annibale, Fabrizio e Giulio.Luigi e Bartolomeo furono poi i Signori di Riccia parleremo in prosieguo come signori di Riccia.Giulio sposò Margherita Minicola e Fabrizio fu Arcivescovo d' Otranto. Annibale sposò Lucrezia Ariamone che portò una ricchissima dote e divenne eccellente Cavaliere che, quando Carlo V arrivò in Napoli, fu scelto per parlare all' Imperatore prima di tutti gli altri. Fu avo di Annibale de Capua, Arcivescovo di Napoli, inviato di Papa Sisto V come Legato apostolico in Polonia. Giovanni, essendo Capitano delle milizie aragonesi, si trovò nel fatto di armi di Monteleone presso il fiume Seminara,dove il Re si era valorosamente impegnato nella zuffa, tanto che gli fu ucciso il cavallo. Sarebbe stato indubbiamente sopraffatto, se Giovanni, con audace sollecitudine, non lo avesse soccorso, cedendogli il suo cavallo. Il Re si salvò, ma il de Capua rimasto a piedi, fu dai nemici ammazzato. Per questo grande atto di valore e di fedeltà Andrea,fratello dell' ucciso Capitano, ebbe il Ducato di Termoli. Andrea comprò pure da Ferdinando II nel 1490 Campobasso ed altre terre devolute per la ribellione di Cola Monforte, e fu valoroso ed esperto nell'arte della guerra a tal punto che Giulio II lo elesse Capitano generale delle sue milizie.Sposò Maria d'Aierbo,del sangue reale d'Aragona, e morì di peste a Civitacastellana.
Ma, tornando a Francesco, le guerre tentate dai pretendenti Angioini e la famosa congiura dei Baroni non lo staccarono dal Re Aragonese, il quale aveva donato a sua moglie nel 1464 il feudo di Cannavena. Morì a Napoli nel 1481, e la vedova Elisabetta ebbe infinite dimostrazioni d'affetto e di benevolenza dai Reali. Il cadavere di Francesco, a cura della vedova, fu trasportato a Riccia, ed il figlio Bartolomeo III lo tumulò insieme a quello della madre nella principesca chiesetta gentilizia, a sinistra dell'altare maggiore, di fronte al sepolcro di Costanza ed Andrea.
Durante la signoria di questo Principe, Ferdinando I nel 1463 proibì i pedaggi in 178 Comuni fra i quali fu compresa anche Riccia. Ma tale sollievo per il commercio durò poco; poiché per l'abuso e per l'avidità dei Baroni e dei Viceré si continuarono poi a pretendere i pedaggi.E per questo fra i pedaggi proibiti dal Tribunale della Sommaria dal 1570 al 1595 troviamo quelli di Riccia.
Successe a Francesco il primo figlio Luigi che ebbe l' investitura dei beni paterni da Ferdinando I nel 1489. Questi luoghi ereditati furono, oltre a Riccia, Altavilla, Sepino, Sassinoro, San Giulinno, Molinara, Cercepiccola, Pago e Roseto. Nell'anno 1496 Ferdinando II, per riguardo ai meriti della famiglia de Capua, e per richiesta di Andrea, fratello di Luigi, per punire la ribellione di Sepino e Cercepiccola, donò al Signore di Riccia tutte le immunità, terre, pascoli ed azioni che appartenevano a quelle due zone.Luigi sposò Ginevra Camponesca, figlia del Conte di Montorio e sorella della madre di Paolo IV ma da tale matrimonio non ebbe figli. Anzi,morta Ginevra, e sentendosi Luigi inadatto a governare lo stato, sia per la infermità del suo corpo,sia per le difficoltà dei tempi, preferì ritirarsi e vivere il resto dei suoi giorni nella quiete della vita privata. Perciò nel 1496 cedette lo Stato al fratello Bartolomeo, il quale alla saggezza ed al valore accoppiava la massima prudenza.Bartolomeo per la sua perspicacia, essendo Signore di Pietracatella per dote della prima moglie, ebbe da Ferdinando II il Castello di Sant' Elia a Pianisi ed il 23 novembre 1495 aveva pure ottenuto dallo stesso Re l'ufficio di Maestro Portolano della Capitanata e della Terra di Bari, con tutti
i beni stabili ed una casa in Barletta, di proprielà dei ribelli Pietruccio e Cola Della Marra.
Intanto Alfonso I stabilì col parlamento del 1442 la tassa sul fuoco e con secondo parlamento del 1449 furono imposti cinque carlini a fuoco che andarono ad aggravare le magre entrate degli abitanti che durante il periodo aragonese ammontavano a Riccia a poco più di un migliaio che subirono poi una sensibile diminuzione a causa del terremoto del 1456.
Intanto per i segreti maneggi di Ludovico il Moro e per l’ambizione di Carlo VIII la fortuna degli Aragonesi precipitava.Il peggior consiglio fu quello di cercare aiuti a Ferdinando il Cattolico, perché, se il Gran Capitano venne apparentemente per ripristinare le sorti, in effetti non tardò ad accordarsi coi Francesi per dividersi fra loro il reame. Il Signore di Riccia,giovandosi della grave situazione dell' ultimo Aragonese, ottenne il titolo di Vicere della Capitanata e del Contado di Molise. Ma ben presto Federico d’Aragona dovette esulare in Francia e Ferdinando il Cattolico,dopo la sconfitta dei Francesi al Garigliano, aggiunse alla sua corona il dominio del regno di Napoli. E fu la nostra maggiore sfortuna poiché da questo momento cominciò il tristissimo e funesto governo dei Viceré i quali, per oltre due secoli, non solo accrebbero i privilegi e l' oltracotanza dei Feudatari, ma sfruttarono con la loro avidità e le più dure vessazioni l’impoverito Stato.
Bartolomeo de Capua:Principe usurpatore
Con Prammatica promulgata il 18 febbraio 1505, Ferdinando il Cattolico ordinò che i possessori dei feudi concessi fino a Ferdinando I d'Aragona, fossero mantenuti. E il nostro principe Bartolomeo III,fedelissimo di Casa d'Aragona, rese omaggio al nuovo Monarca e fu investito regolarmente di tutti i suoi beni con privilegio del 1506. Assicurato lo Stato e fattosi nominare anche Viceré d'Abruzzo, con la consueta tattica dei de Capua di inchinarsi al vincitore,cercò di trarre grandi vantaggi dal ricco demanio di Riccia, il quale, meglio degli altri, si prestava ad ogni specie di spogliazione, amministrato com'era da cittadini, per quanto gelosi dei loro diritti, altrettanto poco accorti.
Per attuare il suo malvagio proposito mise in opera il suo ingegno e l’ingordigia del suo animo. Il popolo riccese, benchè di costumi semplicissimo, pure era fiero e non tanto facilmente sopportava le feudali prepotenze, anche perché gli antenati di Bartolomeo avevano preteso solo il giusto, quanto cioé, era prescritto dalle regali concessioni. Prevedendo, quindi, che le possibili ribellioni non potessero altrimenti essere impedite o represse se non con la materiale e salda affermazione della sua prepotenza, progettò di premunire con validissime opere di difesa il Castello. E prima di tutto, anche per non suscitare facili sospetti, cominciò col restaurare la Chiesetta dedicata alla Madonna delle Grazie, che era di proprietà della sua famiglia e dove fece sistemare le tombe di alcuni suoi antenati. Il Castello aveva un solo lato accessibile dalla parte del paese verso sud- ovest che però fu isolato da un largo e profondo fossato fino ai punti ove la enorme rupe s'inabissa nella sottoposta valle. Su questo fossato fu sospeso il ponte levatoio, che la sera si rialzava per chiudere il portone d'ingresso.
Era il portone esternamente difeso da piombatoi del muro sovrastante, e al suo lato destro da un baluardo, che misurava con lo spessore delle muraglie dieci metri di diametro, e di cui sono rimasti in piedi i due terzi. A sei metri circa dall' ingresso, nella parte interna, si elevava, per lo stesso scopo, il torrione rotondo ad un' altezza di circa metri 20 fino alla base della cornice dentata sporgente, che sosteneva la cannoniera, il merlone e un'altra piccola torricella di vedetta. Era esso munito di tutti i mezzi balistici per accrescere l' inespugnabilità del luogo e dalla parte orientale si ergeva a picco sul precipizio. Dalla stessa parte, sulla cosidetta Prece,e propriamente dal descritto torrione ad un altro baluardo circolare, che difendeva il punto più settentrionale della rocca e che circondava un lato del palazzo mentre un altro baluardo circondava l’altro lato.
Se la rocca propriamente detta Prece era salda per natura, ben munita e tale da poter sfidare anche “l'ira di Giove”, il palazzo, compreso nella cerchia di tale fortezza, era costruito e decorato sontuosamente ed ancora oggi si vedono alcuni scaglioni ed un grande serbatoio d' acqua scavati sulla roccia. Il palazzo aveva dei sotterranei ed un primo piano e comprendeva una ricchissima biblioteca formata di opere pregevoli ed elegantemente rilegate, scomparsa all' epoca della demolizione del 1799. Le spaziose sale erano decorate con gusto,il mobilio ricco ed artistico metteva dovunque una nota signorile e fastosa, armonizzante con i pregiati dipinti, con le ceramiche e con le tappezzerie di valore. Erano le sale fornite di caminetti, che furono, nella demolizione, presi e ricomposti
poi in varie case del paese. Non mancavano trabocchetti e prigioni durissime, dove chissà quanti poveri Riccesi sperimentarono la prepotenza funesta dei de Capua.
Era questo castello posto a cavallo della Caccia riservata, il cui suolo di figura poligonale e dell' estensione di circa ettari 40, era recinto tutto intorno di mura. In essa solevano i Principi tenere, con non lieve dispendio, la più ricercata selvaggina da pelo e da penna che poi offrivano ai reali di Napoli. Oltre alla riserva di caccia,era piantata in questo delizioso recinto una vigna,un’ orto di pomodori e giardini irrigati da copiose sorgive che si estendevano attorno ad un sontuoso casino, che ora é un mucchio di macerie e che ha dato il nome alla contrada Torre(di attuale proprietà della famiglia Manocchio). In esso tutto era degno del fasto dei possessori, come ci fan supporre due sue opere marmoree di buona scultura, un mascherone ed una Venere, di cui l' uno si ammira tuttora sul portone di Agrippino di Paolo, l' altra, rimasta sino al 1860 nell' androne della casa del medico Granata, fu venduta da un suo pronipote ad un antiquario.
Compiute queste opere e rafforzata la sua potenza, Bartolomeo III credette fosse giunto il momento di realizzare i suoi ingordi disegni e fin dal 1506, aveva fittato a gente di Gambatesa la ghianda e l' erba del bosco Mazzocca,sebbene possesso dell’Università e dal 1520 ne rivendicò addirittura il possesso. Bartolomeo III, con atto di prepotenza e sotto pretesto di uso civico spettante a lui come Barone sui demanii comunali, occupò coi suoi armenti appunto quest' ultima parte di Mazzocca e da quel momento non volle mai piu abbandonarla, anzi la convertì addirittura in una sua proprietà feudale. L' Università, naturalmente, fece le sue rimostranze al Principe; ma questi tenne duro, ed abusando della carica di Vicerè e delle sue prerogative feudali, fece comprendere ai malcapitati cittadini che avrebbe potuto rovinarli con rappresaglie piu gravi.
Ma non fu contento il de Capua di questa prima spogliazione. Egli, mirando a commetterne delle più importanti, cominciò ad ingerirsi nell ' elezione dei Sindaci ed a stancare la fierezza dei Riccesi con violazioni di ogni più sacro principio di libertà.
Con una giurisdizione così illimitata, resa più audace dalla debolezza dei Sovrani, Bartolomeo III non disdegnò di imputare ai Riccesi colpe effimere, imprigionando negli orridi sotterranei del castello da lui ristrutturato i riluttanti i quali, per recuperare la loro libertà, si sottomettevano a ricatti di ogni genere. Così questo Principe iniziò il triste periodo dell'arbitrio, della prepotenza e della spoliazione dei diritti e dei beni della nostra terra, seguito e superato in ciò da vari suoi discendenti al punto che cominciò nell'anima dei Riccesi a covare un odio irrefrenabile verso padroni così malvagi.
Bartolomeo III ebbe tre mogli. La prima fu Roberta Roccapianola la quale gli portò in dote Pietracatella e i feudi disabitati di Pescarello, Castel della Guardia, Casalpiano,Figarola,Casalfono e Torre di Zeppa. Con essa procreò soltanto due femmine.La seconda moglie fu Aurelia Orsini, figlia di Francesco Conte di Gravina con ottomila ducati di dote, dalla quale ebbe due figli:Gian Francesco e Giustiniana a lui premorti. Finalmente contrasse un terzo matrimonio con Lucrezia Zurlo,figlia di Giovan Berardino Conte di Montuoro, donna di meravigliosa bellezza. Con essa,sebbene già molto vecchio, procreò Luigi Martino e Giulia. Morì il 23 agosto 1522 e fu tumulato al centro del pavimento della Cappella Gentilizia.
Luigi Martino in età puerile restò sotto la tutela della madre. Ebbe l' investitura dal Vicerè Andrea Carafa il 9 settembre 1526 di tutti gli stati paterni e tale investitura fu confermata da Carlo V il 22 dicembre 1535. Comprò nel 1547 da Troiano Cavaniglia,Conte di Montella la citta di Troia e sposò Giovanna Orsini, da cui ebbe Bartolomeo che gli premorì all’età di 15 anni, Giovanni e Fabrizio.Luigi Martino dispose di essere sepolto accanto all’amato figlio Bartolomeo.Continuò le usurpazioni del padre
Sotto la signoria di questo Principe fu, nel 1545, fatta in Riccia la settima numerazione dei fuochi da che Alfonso d'Aragona ne sancì l' introduzione. Il nostro paese risultò composto di 40 fuochi, però mancano i primi 16 che dovevano riguardare le famiglie Gigante, Guerini, Regio, Sedati, Del Giudice, Amorosa, Rada Oderisio, Corumano, Monachella, Vecchiarelli, De Martinis, Corona, Vespasiano, Annecciare, tutte esistenti in quell'epoca nella nostra Terra. In tale censimento si trovarono 47 case vuote, 2 taverne, 30 famiglie di provenienza forestiera e 9 vedove. Erano 30 i fuochi composti di una sola persona ed 8 le famiglie composte di lO e più persone e cioé quella di Berardino de Antonio Casata , quella di Cicco de Mastro Angelo, quella di Bartholomeo de Angelo Moffa, quella di Andrea Sarrillo, quella di Nardo Pontelandolfo, quella di Iani de Pietro Quatraro, quella di Bartholomeo Ciccaglione e quella di Sebastiano de Coli Cariteo.
Morto Luigi Martino, gli successe il figlio Giovanni, il quale nel 1554 pagò alla Regia Corte circa ducati duemila per il prelievo ed ebbe il possesso di tutti i beni paterni. Nel 1561 si fece l' ottava numerazione dei fuochi, che ammontarono a 476 comprese 24 case vuote. Il 18 dicembre 1566 Giovanni vendette al suocero Scipione Carata la Baronia di Sepino, consitente in Sepino, Cercepiccola, Sassinoro e San Giuliano, per ducati 50 mila. Sposò Costanza figlia del predetto Carafa, Conte di Morcone, dalla quale ebbe soltanto due femmine, Giovanna ed Ippolita. Fu singolarmente appassionato della musica e sebbene dilettasse ed ingentilisse il suo spirito con un' arte così bella e passionale, pure non cessò di architettare qualche nuova pretesa ai danni dclla nostra Terra. Infatti, nel 1578 egli e le due figlie si portarono creditori dell' Università di annui ducati 90, per capitali e di ducati mille, in virtu di un atto rogato per mano del Notaio Cesare Egizio di Cercemaggiore. Allo stesso modo Dorotea Spinelli, moglie di Fabrizio de Capua, fratello di Giovanni, si dichiarò creditrice della stessa Università di altri ducati 135 per capitale in virtù di un rogito del Notaio Cesare De Marinis di Riccia.La figlia primogenita Giovanna fu sposa di Ottavio de Capua e portò in dote quarantamila ducati e Ippolita rimase nubile lasciando erede dei suoi feudi lo zio Fabrizio,fratello del padre.Giovanni morì nel 1589 e gli successe il fratello Fabrizio che iniziò a rivendicare all’Università di Riccia l’intero dominio di Bosco Mazzocca perché l’intero blocco era feudale e pertanto di sua pertinenza.Di fronte a tanto illogico ragionare e prevedendo di perdere altri diritti l’Università comprese che doveva ricorrere ad un arbitrato.L’arbitro scelto fu il napoletano dottor Fabio Marchese,avvocato e compare del Principe Fabrizio e perciò fazioso.Le pressioni del Principe su Riccia furono tante che il Governatore di Riccia Lelio de Sarno si recò dal dottor Marchese a Napoli per conciliare ed arrivarono alla conclusione che i terreni erano in comunione con i riccesi ed il Principe ma i ricavati della vendita di ghiande ed erba erano del solo Principe.Riccia subì l’ennesima sottomissione. Fabrizio morì il 14 settembre 1591 e gli succedette il figlio minorenne Luigi Vincenzo,sotto la tutela della madre Dorotea Spinelli.Rilevò i possedimenti dle padre con la significatoria dell’8 marzo 1594 e dove il bosco Mazzocca fu inserito come proprietà feudale.Giunto questo Principe alla maggior età, e vista la debolezza ed inettitudine dei reggitori dell' Università, ideo di continuare le usurpazioni e di completarle.
Compiuta la usurpazione di tutto il patrimonio dell' Università, questo Principe si accinse a manomettere la pace e i diritti dei cittadini. Proibì la caccia, il libero uso di S. Maurizio e dell’intero Bosco Mazzocca, li costrinse all' affitto forzoso dei suoi beni, all’acquisto dei suoi generi, alla coltura gratuita dei suoi terreni, all' affitto delle loro cavalcature. Infine obbligò i condannati all' esilio a transazione forzata con la Corte baronale, estradò i carcerati fuori territorio, pretese i diritti di bottega lorda, della colta di S. Maria, della Zecca dei pesi e misure, ed altri pagamenti senza titolo di sorta. Vane erano le lamentele e le pretese dei Riccesi. Il Principe rispondeva con le carceri e con la tortura, sicuro che nessun freno avrebbe subito dal Governo del Re. Ma, mentre stava immaginando altre prepotenze ed angherie, fu sorpreso dalla morte il 18 dicembre 1627.
Aveva sposato Giovanna Caraffa morta in Riccia il 5 settembre 1609. Appartenne questo Principe all'Accademia degli Oziosi, nata sotto gli auspicii del Cardinal Brancaccio, ed a cui tanti letterati erano iscritti . Restaurò pure la
Chiesa di S. Maria di Montevergine, edificata dal suo antenato Bartolomeo Protonotario, e morì esecrato dal popolo riccese, che in lui riconobbe il peggiore degli usurpatori.Fu data al figlio giovane Fabrizio l' investitura del paterno retaggio, e pagatone il relevio nel 1629, i Riccesi aprirono l' anima alla gioia, lusingati dalla speranza di una diminuzione delle indebite e numerose prestazioni, a cui l' arbitrio dei predecessori li aveva sottoposti. Ma il nuovo Signore,sordo alle incessanti premure dell’intera popolazione, raddoppiò i soprusi, gli intrighi e le violenze. Invano si ricorse al Governo viceregnale, poiché con le sue molteplici conoscenze e le continue intromissioni, il Feudatario severamente puniva coloro che si ribellavano. Addirittura aggiunse il diritto di scopa:esso consisteva nell'obbligo, che avevano le novelle spose di recarsi nel palazzo baronale a pulirvi le stanze e, risolvendosi precisamente nel ius prima noctis “diritto di prima notte” quale privilegio del Principe, tentava di gettare anche il disonore nelle famiglie della nostra Terra. Ma la fierezza del nostro popolo, se a malincuore aveva fino a quel tempo sopportato il peso di moltissime prepotenze, di fronte a questa vergogna si ribellò imponendo al Principe il rispetto delle nostre donne.
Aveva contratto matrimonio una giovane della famiglia Mignogna. Era di bellissime forme, ma di animo geloso del suo onore e della purezza della sua persona. Costretta a viva forza a recarsi nel feudale castello per adempiere all' impudente dovere, energicamente resistette alle pretese del Principe. Non valsero lusinghe, promesse, minacce, violenze a scuoterne il casto proposito e perciò fu rinchiusa nell'oscuro sotterraneo del maschio laterale alla porta d' ingresso, percha la fame, il terrore, la fredda solitudine e le torture ne avessero fiaccata la resistenza e disposto lo spirito all’ impura dedizione. Ma la eroica fanciulla non fu scossa dai sinitri terrori e dai continuati tormenti che soffriva nella lurida prigione e preferì la morte alla perdita del suo onore; e nella confortante visione del suo sposo adorato e della sua fede irremovibile cadde vittima incontaminata dell' osceno tranello e morì. Invano lo sposo aspettò la sua donna al talamo. L' attesa fu inutile, ma un vivo desiderio di vendetta si accumulò nel suo animo e serpeggiò fra l' indignato popolo contro l' esecrato feudatario
Non era ancora attenuato il tristissimo ricordo di tal fatto, quando si sposò un giovane della famiglia Ciccaglione, il quale non permise in alcun modo alla sua bella sposa di recarsi al Castello. Il Principe allora gli fece intimare da un suo messo di dover rispettare un suo alto privilegio feudale. Il Ciccaglione rispose che sua moglie non avrebbe giammai varcata la soglia del palazzo baronale, poiché non intendeva sottostare ad un obbligo così disonesto. Tale rifiuto fece adirare l’offeso Signore che subito ordinò a due soldati di recarsi a casa del ribelle perchè fosse arrestato insieme alla consorte. Ma l' ardito giovane non era rimasto inoperoso ad aspettare la immancabile esplosione dell' ira principesca, perciò, quando sull' imbrunire i due sgherri si presentarono alla porta di sua casa, li fulminò a colpi d' arma da fuoco, e montato insieme alln moglie su due cavalli già apparecchiati, ben presto raggiunse il confine e si rifugiò a Bari, ove fu il capostipite di quel ramo dei Ciccaglione accasato in detta Città. Questo nuovo episodio esacerbò maggiormente gli animi dei Riccesi e la sorda minaccia del loro sdegno accumulato e traboccante giunse a ridurre l'oltracotanza del Principe smise di rivendicare tale diritto.
Per calmare l' immensa ira che questi fatti e tutti gli altri soprusi avevano suscitato nella coscienza popolare offesa, Giovan Fabrizio fece raccogliere le disperse acque della fontana, ancora esistenti in piazza e dopo averla fatta ristrutturare, vi fece murare un’ampollosa epigrafe, che falsamente inneggia alla sua munificenza e al suo amore per il popolo riccese.
Durante la dominazione di Giovan Fabrizio si ebbero due numerazioni dei fuochi e nel 1642 il numero di questi fuochi ammontava 650, come riportano i bandi per la nuova numerazione firmati da Ottavio Amorosa Sindaco, Onorio di Muzio e Giovanni Reale Eletti, Notaro Palladino Bellisio e Giovan Domenico Moffa Deputati e Domenico de Martino. Ebbe a consorte Margherita Ruffo, e morì il 9 marzo 1645. Bartolomeo, figlio di lui e della Ruffo fu il successore nelle terre feudali. Marito ad Isabella Spinelli ebbe due figli: Giovanni Fabbrizio che gli premorì, e Giambattista ebbe un figlio Bartolomeo di Capua - quarto nella stirpe – che cessò di vivere il 16 agosto 1691.Giambattista di Capua, Conte di Altavilla e Principe di Riccia, conseguì pur il titolo di duca di Mignano. Era uno dei più ricchi signori feudali del Reame, e nel 1698 acquistò Venafro per 100.000 ducati,dato il retaggio di appartenenza con Al tabella Pandone,sua ava.L'Amorosa non s'indugia punto su questo titolare, che ebbe, nondimeno, così viva parte negli eventi politici del suo tempo.Giambattista di Capua fu uomo di moralità deficientissima; ed il Granito lo dipinge come "destituito di ogni virtù, persino di quelle più comuni tra i gentiluomini del suo tempo, dei quali non aveva che i vizi; mentre la nobiltà del sangue non ingenerava in lui altro che orgoglio, e la potenza e le ricchezze il rendevano più feroce e pronto alle vendette.Viveva circondato da sgherri e da bravi, ministri delle sue nequizie, quantunque cercasse di nascondere sotto una certa apparente moderazione e cortesia di modi la perfidia dell'animo, questa, suo malgrado, gli traspariva nel volto. Impaziente di qualunque soggezione aveva sin dalla sua prima giovinezza litigato col padre per l'eredità materna,minacciando di avvelenarlo: in seguito era stato più volte in carcere per omicidio ed altre violenze fatte commettere dai suoi sgherri, ed ammonito in più riscontri di governare con più giustizia i suoi vassalli trattati da lui ancora peggio che non aveva fatto suo padre.Ad evitare la prigione per il delitto di mandato d'assassinio a danno di due suoi vassalli,si era nel 1700 rifugiato nel monastero dei PP. Crociferi a Porta S. Gennaro, dove per diritto d'asilo non poteva temere della libertà.I suoi amici del patriziato andavano con frequenza a visitarlo, ed in quei convegni vennero gettate le prime basi della congiura contro il governo vicereale; nota poi col nome di Congiura di Macchia Valfortore.Dopo qualche tempo il principe di Riccia, sospettando un colpo di mano contro la propria persona da parte dei vicerè, abbandonò i Crociferi e si trasferì a Benevento, città pontificia, ospite del cardinale Orsini ed in Benevento si trattenne fino allo scoppio della congiura, che egli avrebbe voluta iniziare con l'uccisione del vicerè, suo acerrimo nemico; al che si oppose Tiberio Carafa uomo ben altrimenti assennato e prudente.Il 6 ottobre 1701 era il giorno fissato per la sommossa; ma i congiurati, avuto sentore che il vicerè Medina Coeli era già informato della cosa, reputarono opportuno di anticiparla al 23 settembre. Fu un disastro e dopo tre giorni di lotta fratricida i capi degli insorti dovettero salvarsi con la fuga.
Il principe di Riccia, fuggiasco in Terra di Lavoro per raggiungere Roma, si ricoverò per alcuni giorni in una cappella campestre, allo scopo di far perdere le tracce di sè: ma il duca Boncompagni di Sora,suo parente, lo prese prigioniero e lo fece tradurre a Napoli. Fu tale la paura che lo prese nel vedersi sotto le grinfe del vicerè, che a disarmarne il risentimento e l'ira si abbandonò a delle gravi rivelazioni a danno dei complici (egli, il più accanito di tutti!); e per meglio toccare il cuore del Medina Coeli non rifuggì dal denunciare perfino il proprio figlio!La Corte pontificia,che parteggiava per Vienna, protestò presso il governo vicereale per l'arresto del principe di Riccia eseguito dentro un luogo sacro; onde il vicerè, per evitare beghe, bandì dal Regno il de Capua e ne ordinò la confisca dei beni.Giambattista de Capua andò esule in Francia; ma nemmeno là ebbe fortuna, poichè venne rinchiuso nella Bastiglia e poi confinato ad Orlèans.Nel 1707, tornato nel Regno al seguito delle armi austriache, fu reintegrato nei feudi e ricolmo di onori. Malgrado però un così inatteso rivolgimento di fortuna, la moglie Antonia Caracciolo,duchessa d'Airola dovette chiedere al Consiglio Collaterale il permesso di vendere alcuni beni feudali per pagare i debiti orleanesi dell'allegro consorte.Morì Giambattista di Capua il 22 aprile 1732; la cui prole maschile era formata da Bartolomeo e Scipione nominato erede di Venafro.Bartolomeo era premorto al padre il 15 novembre 1715. La moglie Anna Cattaneo,figlia di Baldassarre principe di Sannicandro,diede alla luce un figlio postumo, che fu chiamato Bartolomeo, il quale ereditò i diritti paterni succedendo cronologicamente all'avo.Bartolomeo VI de Capua entrò subito nelle grazie del giovane Re Carlo III di Borbone e nel 1743, essendo pur duca di Mignano, ebbe la nomina di Colonello del Reggimento provinciale di Terra Lavoro.Alla testa di questo Reggimento si trovò nella giornata di Velletri (11 agosto 1744), dove si distinse per molti atti di ardimento e di coraggio, e per più ferite riportate.Egli fu poi Maggiordomo della regina Maria Amalia, e Gran Protonotario del Regno.Non avendo avuta prole da Costanza Gaetani,sposata nel 1731, lasciò disposto che i beni burgensatici andassero a Francesco Vincenzo Sanseverino,Conte di Saponara (figlio secondogenito del principe di Bisignano e di Lucrezia Capece Galeota) con l'obbligo d'inquartare le armi dei de Capua nella propria, e di assumere il cognome di Capua Sanseverino.
Bartolomeo de Capua morì nel 1792 e con lui si estinse la nobilissima prosapia sette volte secolare, la quale lasciava vivissime impronte di sè nella storia politica e militare del Reame.