LA NOTTE DELLE STREGHE SOTTO IL NOCE
La Storia
Il fascino di ogni territorio si nasconde nei misteri delle sue leggende, tramandate di generazione in generazione, vero patrimonio da conservare. Ad Altavilla Irpina, paese situato a metà strada tra Avellino e Benevento si rievoca l'antica leggenda delle streghe; Altavilla costituiva un passaggio obbligato tra Avellino e Benevento, vi passava la strada che collegava i due capoluoghi, in seguito denominata statale 88, la strada stregata; sembra che il famigerato Noce sorgesse proprio in vicinanza di Altavilla, in corrispondenza dello stretto di barba, in località Ponte dei Santi (non a caso dal momento che nel medioevo la religione cattolica ricoprì con nomi e riti cristiani le antiche pratiche e località pagane).Si narra che spesso nelle contrade intorno a Benevento ed Altavilla, di notte le streghe si recavano nelle stalle per intrecciare le criniere dei cavalli, i contadini che la mattina si recavano nelle stalle per portare da mangiare alle bestie ne rimanevano terrorizzati, le trecce, infatti, dimostravano che era stata fatta una fattura al padrone, per evitare questo i contadini mettevano dietro le porte una scopa di saggina per ostacolare l'ingresso della strega che prima di entrare era obbligata a contarne tutti i rametti e siccome sono tanti, spesso ne perdeva il conto e doveva ricominciare daccapo, intanto la notte passava e con il sopraggiungere dell'alba la strega perdeva i suoi poteri. Nella notte di San Giovanni, le streghe "Buone" fondevano del piombo in un calderone, vi versavano dell'acqua, lo esponevano ai raggi della luna e recitando una formula magica erano in grado di far conoscere alle ragazze il loro destino, rivelando loro alcuni particolari per permetterle di individuare un eventuale sposo. Nel medioevo le streghe assunsero volto e fattezze muliebri (la donna era considerata strumento del diavolo); si narrava che fornicassero con i demoni e che, avvalendosi di fatture, incantesimi, sortilegi, malocchi e filtri, potessero asservire chiunque al loro volere, oltre a nuocere al bestiame, ai campi e ai bambini. Ma qual è il rapporto tra le streghe e San Giovanni? Salomè che aveva ottenuto da Erode Antipa la testa di San Giovanni con la danza dei sette veli, è ritenuta la prima strega, condannata, per quel suo peccato, a vagare eternamente nell'aria, dove era stata spinta da un vento uscito dalla bocca del Santo. Però anche se sulla notte di San Giovanni aleggia la presenza inquietante delle streghe e dei demoni che volano nel cielo per partecipare al sabba infernale sotto il famoso noce, è possibile tenerli lontani utilizzando le benefiche erbe di San Giovanni, che proteggono da qualunque forma di malocchio. Tra queste erbe quelle più potenti sono la Verbena, il Ribes, l'Iperico e soprattutto l'aglio che si deve comprare il giorno di San Giovanni e che, appeso in casa, protegge anche dai vampiri. Ma la Notte di San Giovanni, inizio dell'Estate, è ritenuta propizia anche per tutto ciò che è connesso alla fruttificazione (un proverbio dice che in quella notte entra il mosto nel chicco, cioè il chicco comincia a formare gli zuccheri che fermenteranno poi nel mosto). La rugiada di questa notte magica sembra avesse virtù fecondatrici e le giovani spose, che volevano rimanere gravide, dovevano sollevare le vesti e accoccolarsi o sedersi sull'erba umida; mentre le ragazze da marito mettendo sotto il cuscino tre fave, simbolo di fecondità, di cui la prima senza la buccia esterna, la seconda a metà e la terza intatta, potevano avere auspici sulla posizione economica del futuro sposo; a seconda di quale delle tre fave estraeva a sorte il mattino seguente avrebbe sposato un marito povero o ricco. E' nella notte di san Giovanni, il 24 giugno, la più breve notte dell'anno, il momento che la tradizione indica per raccogliere le noci da usare per la preparazione del nocino, un liquore di antichissima origine; il rito di preparazione del nocino risale, infatti, ai Celti della Britannia. Le noci, sempre secondo la tradizione devono essere raccolte da mani femminili e aperte utilizzando una lama di legno. Un tempo le donne, con in spalla lunghe scale e in mano piccoli panieri di vimini rivestiti all'interno con tela di sacco, scomparivano alla sera nel buio della campagna, salivano a piedi nudi per non scivolare sulla scala, sceglievano le noci più integre e le riponevano nel paniere. Nel frattempo sull'aia erano stati accesi dei grandi falò attorno ai quali si sarebbero radunate al termine del loro lavoro, dopo averle tagliate le noci venivano messe con dell'alcool in vasi di vetro e esposte al sole per 40 giorni. Questo rituale ci riporta ad antiche credenze che riconoscevano nel noce una pianta sacra, anche magica; si diceva che il noce rappresentasse l'ultimo rifugio delle streghe condannate al rogo, esse potevano salvarsi dal supplizio trasformandosi in spirito ed entrando nel più vicino tronco di noce, per poi riacquistare la libertà al momento dell'abbattimento dell'albero. La stregoneria è sempre esistita nel senso che sono sempre esistiti individui che si proclamavano stregoni o streghe, nonché altri che credevano nei loro poteri, ma c'è stato un periodo (tra il XIV ed il XVI sec.) in cui da parte della Chiesa e degli Stati venne attuata una caccia spietata alle streghe (la più famosa fu Giovanna D'Arco) e circa cinquecentomila persone in tutta Europa furono mandate al rogo. Forse le streghe erano delle guaritrici o delle seguaci di qualche antica religione pagana, il cui culto comprendeva l'uso di droghe allucinogene, danze e rapporti sessuali (non a caso l'accusa era di congiungersi con il diavolo). La tradizione le descrive capaci di assumere sembianze estremamente graziose o orribilmente ripugnanti e comunque, estremamente pericolose, perché in grado di soggiogare la volontà umana. Delle antiche usanze rimasero il gusto di suonar campanacci, di schiamazzare agitando zucche trasformate in teschi e organizzare giochi popolari e canzonette, mangiando le tradizionali lumache le cui corna, si diceva, erano il simbolo della discordia e perciò seppellendole nello stomaco, si cancellava ogni rancore. La Pro Loco Altavillese, avendo a disposizione il luogo dove si trovava il famigerato noce, rievoca questa leggenda il 22 e il 23 giugno con i falò che bruciano le streghe di legno, il nocino, l'aglio, le fave, i mazzetti di fiori dell'amicizia, i campanacci, le teste di morto, le gare di giochi popolari, le danze gioiose con la scelta della regina del sabba tra le streghe convenute. E' un evento da non perdere, due serate all'insegna dell'occulto e della stregoneria con sorprese che non mancheranno di stupirvi, una rievocazione in chiave goliardica di una leggenda che dal cuore e dalle menti degli altavillesi nei secoli ci è stata tramandata.
Come preparare il Nocino, il liquore delle streghe che fa digerire.
Ingredienti
39 noci raccolte la Notte di San Giovanni
1 litro d'alcool per liquori a 90°, 600 gr. di zucchero
3 pezzetti di cannella, 6 chiodi di garofano, 1 limone.
Preparazione
Prendete le noci e con un panno umido strofinatele per pulirle, lasciatele asciugare; con un coltello affilato tagliatele in quattro spicchi e mettetele in un vaso con chiusura ermetica, gia contenente l'alcool, unite la cannella, i chiodi di garofano e un pezzetto di scorza di limone. Chiudete il vaso, pieno a metà, mettetelo al sole per cinque settimane; agitatelo due volte a settimana, trascorso il tempo, versate lo zucchero nel vaso, richiudete e agitate; rimettetelo al sole per altre due settimane e agitatelo almeno una volta al giorno, trascorso anche questo tempo, filtrate il liquore e mettetelo in una bottiglia pulita e asciutta evitando di riempirla fino all'orlo, tappatela in maniera ermetica e scriveteci la data dell'imbottigliamento, ponetela, quindi in un luogo asciutto e buio. Resterà lì per almeno tre mesi, il nocino sarà pronto quando, guardando in controluce la bottiglia, il colore non sarà più verdastro ma marrone
Pietro Rosato
LA MAGIA DEL PEPERONCINO
Tanti lo amano! Tanti lo sfuggono come il diavolo! Il peperoncino, rosso come il fuoco che sa accendere in noi, non suscita emozioni tiepide, ma come tutti i grandi è amato oppure odiato.
Al di là dei gusti personali bisogna sapere che il peperoncino è praticamente una medicina naturale e il suo regolare utilizzo in cucina assicura benefici di lunga durata.
La sostanza riconosciuta come il principio attivo del peperoncino si chiama capsaicina , dal nome botanico della pianta Capsicum annuum, appartenente alla famiglia delle Solanacee come la patata, la melanzana e il pomodoro. Gli esperti sostengono che il peperoncino migliore d’Europa si coltivi in Calabria e in Basilicata, per le particolari condizioni del terreno di quelle zone che pare proprio siano perfette per la crescita della pianta.
Usato regolarmente in cucina, il peperoncino porta i seguenti benefici:
- abbassa la pressione arteriosa
- riduce e previene le placche tipiche dell’arterosclerosi
- abbassa il colesterolo cattivo
- migliora la circolazione del sangue
- riduce i grassi nel sangue (trigliceridi)
- riduce i dolori articolari
- migliora i reumatismi
- migliora i problemi alla pelle come psoriasi, eczema e dermatiti
- riduce i dolori legati alla neuropatia e alle nevralgie, soprattutto quelle legate al diabete, e al fuoco di Sant’Antonio
- favorisce la digestione
- aiuta a eliminare il meteorismo intestinale
- riduce i dolori dell’artrite e dell’artrosi
- rinforza il funzionamento dei reni, polmoni, milza, pancreas, cuore e stomaco
- è anticancerogeno
- ha un effetto protettivo sulla mucosa dello stomaco
- previene le ulcere allo stomaco e al duodeno
- è un potente antinfiammatorio
- è vasodilatatore, libera il naso, previene e combatte la sinusite
- mette di buon umore in quanto stimola le endorfine
- aiuta a perdere peso, bruciando le calorie in eccesso.
Si pensa che il peperoncino sia utilizzato dagli esseri umani come cibo e come medicina fin dai tempi antichi.
Sono stati trovati resti archeologici che fanno pensare che in Equador coltivassero già questa magica pianta nel 6000 a.C. Cristoforo Colombo portò le prime piante di peperoncino in Europa dopo la scoperta dell’America e la pianta si diffuse velocemente il tutta l’area del Mediterraneo.
Il primo ad accorgersi delle virtù terapeutiche del peperoncino fu proprio uno dei medici che prestava attività sulle caravelle di Colombo nel 1494, durante il suo secondo viaggio nelle Americhe.
Oltre alle virtù terapeutiche, il peperoncino è anche un tipo di cibo molto nutriente. Contiene un buon livello di vitamina C (quasi il doppio rispetto agli agrumi) e, se lo si cuoce, perde solo il 30% del contenuto di tale vitamina. Contiene inoltre betacarotene, bioflavonoidi e antiossidanti. Quando lo si lascia seccare aumenta anche il contenuto di vitamina A.
Alcune persone possono sviluppare serie reazioni allergiche al peperoncino, che è inoltre controindicato in dosi massicce nei casi si assuma un tipo particolare di farmaco ipotensivo (ACE inibitori), farmaci antiacidi, fluidificanti del sangue e la teofillina (broncodilatatore).
Il peperoncino si può usare crudo oppure cotto in ogni piatto o pietanza. E se vi bruciate la bocca e proprio non sopportate il dolore ricordate che è controproducente bere acqua! Meglio scegliere la mollica del pane oppure un po’ di latte o formaggio.
Esistono molte varietà di peperoncino, il più piccante sembra proprio essere l’Habanero, definito da alcuni esperti come “la vendetta del diavolo”.
Esistono anche peperoncini dolci per chi volesse abituarsi lentamente a questo frutto che la natura ci ha donato non solo per stare ben ma anche per provare un po’ di fuoco dentro, che alimenta le nostre passioni e ci avvicina alla felicità.